Solo il 4,5% degli annunci di lavoro menziona i benefit

09/08/2023

Su oltre 90.000 inserzioni lavorative postate su LinkedIn, il social network del lavoro che, in Italia, conta più di 16 milioni di utenti, mentre a livello globale gli iscritti sono 850 milioni, solo il 4,5% menziona i benefit aziendali previsti per il lavoratore: questo è quanto emerge da una recente analisi svolta da Coverflex, startup specializzata in welfare aziendale e retribuzione flessibile, che, nel mese di luglio, ha preso in esame 96.420 annunci di lavoro evidenziando come solo poco più di 4000 menzionino le parole buoni pasto, welfare o benefit. Nel dettaglio, il 13,9% (600 annunci) fa riferimento ai buoni pasto, il 31,1% (1.343 annunci) menziona il welfare e più della metà, il 54,8% (2362 annunci), fa più genericamente riferimento ai benefit.

Le evidenze di questa analisi ci fanno comprendere con chiarezza che il lavoro da fare è ancora tanto e che molte aziende non stanno approfittando, per niente o in minima parte, delle opportunità offerte dal welfare aziendale, o stentano a percepirlo come un vero e proprio vantaggio competitivo. Un piano welfare di successo, invece, va costruito anche attraverso dinamiche e infrastrutture adeguate, dando ai dipendenti, presenti e futuri, tutti gli strumenti necessari per conoscere il proprio pacchetto retributivo e poterne usufruire appieno. Comunicare con trasparenza i benefit offerti, già a partire dall’annuncio di lavoro, permette alle aziende di distinguersi e di raccontarsi come realtà all’avanguardia, trasparenti e pronte a considerare il proprio dipendente come una persona, con esigenze e interessi differenti”, commenta Chiara Bassi, Country Manager Italia di Coverflex.

Differenziare (ed esplicitare) il pacchetto retributivo per vincere la competizione

Se, da un lato, il welfare aziendale è un mezzo che viene spesso impiegato per aumentare la soddisfazione e la fidelizzazione dei collaboratori già presenti in azienda, dall’altra è anche uno strumento che può aiutare concretamente le imprese ad attrarre nuovi talenti, differenziandosi sul mercato e vincendo la competizione. Secondo una ricerca svolta da Randstad, a tal proposito, la retribuzione e i benefit influenzano le scelte del 61% di coloro che cercano un nuovo impiego, rendendo evidente come sia cruciale menzionare ogni aspetto del pacchetto retributivo, dalla RAL ai vari benefit offerti.

Il welfare aziendale, inteso come l’insieme delle iniziative (servizi o beni) pensate per il dipendente e mirate a migliorare il benessere e la serenità in azienda, si compone però di tante e varie iniziative: i buoni pasto sono un benefit ampiamente diffuso e molto apprezzato dai dipendenti, ma, in un mondo del lavoro in continua evoluzione e nel quale hanno preso piede fenomeni come la Great Resignation o il Quiet Quitting, sono numerose le opzioni che le aziende possono prevedere per massimizzare il guadagno e la soddisfazione delle proprie risorse.

Tra queste, flessibilità oraria, smart-working, programmi di formazione, assistenza sanitaria, supporto alla salute mentale, telefono cellulare e/o auto aziendali, asilo nido, sconti esclusivi, eventi di team building, budget dedicati e programmi di sostenibilità sono alcuni aspetti che possono rientrare negli annunci di lavoro per dare prova dell’attenzione che l’impresa stessa ha nei confronti del dipendente e del concetto di trasparenza.

La Direttiva UE sulla trasparenza salariale

Sul tema degli annunci di lavoro è già intervenuta l’Unione Europea, che nel maggio di quest’anno ha pubblicato una Direttiva che invita tutti gli Stati membri a rafforzare la trasparenza retributiva per combattere in modo concreto le disparità, specie quelle di genere. I Paesi dell’Unione, infatti, dovranno conformarsi alla Direttiva entro il 2026, introducendo norme capaci di garantire la trasparenza retributiva prima dell’assunzione. In particolare, le imprese dell’UE saranno tenute a fornire informazioni esplicite rispetto alla retribuzione, qualora il divario di genere retributivo superi il 5%[1] (secondo Eurostat, in Italia, la differenza salariale è uno dei primi campanelli d’allarme del gender gap, con percentuali del 17% nel privato e del 4% nel pubblico[2]). Questo significa che i datori di lavoro dovranno dichiarare la retribuzione prevista per lo specifico ruolo per il quale stanno assumendo. Inoltre, le aziende con più di 250 dipendenti saranno tenute a fornire, a cadenza regolare, informazioni sulle disparità salariali, riportando non solo le retribuzioni di base ma anche quelle variabili.

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